Eventi & Cultura
Piacere, seduzione, ricatto, bellezza, egoismo: è di scena Irene Nemirovsky
Al Teatro Comunale di Cormons è buona (anzi ottima!) la prima nazionale di Jezabel
CORMONS – «Occorre abbandonare il piacere prima che sia lui ad abbandonarci!» Sarà uno di quegli aforismi (e non l’unico) che taglierà in due la serata cormonese. Jezabel, della ri-scoperta Irene Nemirovsky, ennesima impresa Adelphi dopo un certo Sandor Marai, esordisce in prima nazionale portata in scena dal Teatro Stabile di Verona per la meticolosa regia di Paolo Valerio.
Il processo, alla persona più che all’imputata. Un giudice decisamente prevenuto. Vizio, paura, ricatto, denaro: temi tanto cari all’intera opera. Sfilano, come fantasmi di un passato imperfetto, i testimoni di un’esistenza come in processione: la cameriera personale, l’ultimo amante, l’amica del cuore, un parente, uno studente amico della vittima. Già perchè c’è un giovane, avrà vent’anni, che è stato ucciso. E il colpevole sembra scontato. E Jezabel, in secondo piano, come una Madonna pittorica in dissolvenza, pare accettare il giudizio universale con aria dimessa. Inappuntabile scenografia dove tutto cala dall’alto, come le fortune della vita: mobili, sedie, suppellettili, sorrisi, gioie, impeti d’animo ed un pianoforte a coda, in un terzo spazio, che sottolinea dal vivo il vortice di emozioni che dal palco arriva in platea. E ritorno.
Flashback. Jezabels’ story: i venti, i trenta, i quaranta, i cinquanta, i sessant’anni: Elena Ghiaurov è inarrivabile, più in parte di così si muore. Dominio sugli uomini, voluttà ad ogni costo, gelosia folle e violenta, il sedurre fine a se stesso, una vita spesa in provocazione, ventiquattrore al giorno di seduzione, di astuzie femminili: insomma, una vera e propria condanna. Passano in rassegna uno stuolo di ex amanti, mariti, amici: tutti irrilevanti, quasi inutili, mere comparse.
Arriva il fulcro di tutta la poetica di IN, la cifra stilistica ovvero il rapporto madre-figlia. Un duello dispotico ed infernale che nega relazioni, matrimoni, maternità. Che nega la vita altrui, quasi che la felicità sia proprietà esclusiva ed inalienabile. Qui non c’è nessun atom heart mother perchè «l’amore, mia cara, è un sentimento di lusso. E gli innamorati immaginano sempre di aver fatto un cattivo affare, a vantaggio dell’altro!» manifesto di cinismo narcisista volto ad erigere il tempio dell’egoismo più magniloquente che si possa immaginare. «Sono invecchiata?» La più classica femme fatale del Novecento intercala di non voler soffrire, tanto meno di saperlo fare. Le parole, dosate con implacabile maestria: la lungaaa (con tre “a”) ed orribile vecchiaia, che fa paura solo a pronunciarla. Il bambino che aspetta la figlia, con enunciazione di puro disgusto.
L’età che avanza: «ma come ho potuto vivere sapendo che un giorno sarei invecchiata?» La morte della figlia di parto, liberatoria. Sensi di colpa da poser, l’allontanamento del nipote, che più lontano non si può, che la matrigna di Biancaneve è una dal cuore tenero. E poi che «a cinquant’anni non si cambia più: nasce una massoneria dell’età al femminile dove ognuna censura le rughe dell’altra» come in un contratto non scritto. Ma l’aspirante Dorian Gray in gonnella continua la collezione instancabile di uomini da far soffrire, da cui farsi adorare, i quali far impazzire laddove possibile. E quando non ce ne sono più ci sono le case per appuntamento, per ostentare anche il proprio ceto sociale.
Uno spettro, una maledizione che arriva dal passato: condanna inesorabile ed esemplare, proprio come il tempo che passa. Ricatto, decadenza, sopraffini duelli psicologici. L’odio come opera d’arte, uccidere l’anima con le stesse identiche parole. La felicità rubata, un po’ come il diavolo che ruba l’anima. Più perfida, ma anche più vittima. <<Nonna! Nonna! Nonna!>> Un codice criptico che fa da interruttore della morte: un colpo di pistola. E poi la liberazione. Finale in tableau vivant: cast superlativo, applauditissimo.
E per chi si fosse perso la prima, J ritorna in regione dal 5 al 9 febbraio al Rossetti di Trieste. Pièce memorabile!
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