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Eventi & Cultura

“Io nego.” L’ultima provocazione letteraria di Emanuele Franz

Intervista al filosofo di Moggio Udinese sull’opera che ha già riscosso gli apprezzamenti di Vittorio Sgarbi e Marcello Veneziani

Massi Boscarol

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foto: Emanuele Franz

UDINE – Piaccia o non piaccia Emanuele Franz ha il merito di non essere mai omologato. Il suo stile è unico, il suo pensiero indipendente, la sua penna non fa mai sconti né tantomeno possiede remore. Non fa quindi eccezione la sua ultimissima provocazione, di recente pubblicata da Audax Editrice, dal titolo “Io nego: pensieri di un filosofo davanti al Covid”. 

Siamo partiti chiedendogli naturalmente del titolo, chiaramente e volutamente provocatorio, della serie <<prima che ti diano gli altri del negazionista te lo dai da solo, così li rassicuri e li fai anche contenti?>>

<<Già>> sorride <<io nego – ovvero, in senso etimologico, mi chiamo fuori; la via negationis è stata fondata dai filosofi greci e si riassume nel negare per arrivare all’affermazione, dire ciò che non è. Io in particolar modo nego che una certa gestione possa definirsi “vita”; perciò nego a priori e da questo poi costruisco. Naturalmente la parola negazionista non ha nulla a che vedere perchè oggigiorno ha preso il significato di un insulto, un insulto come un altro.>>

Nello specifico Io nego prende le sembianze di un diario dalla quarantena proponendo riflessioni filosofiche in chiave critica sulla gestione dell’emergenza sanitaria dove la critica non è tecnica o medica o istituzionale ma – per l’appunto –  filosofica.  La prefazione porta la prestigiosa firma del noto psichiatra Alessandro Meluzzi il quale ritiene che testi letterari come quello di EF rappresentino “un atto di resistenza all’oscurantismo dei nostri tempi”. Il libro immediatamente ha suscitato importanti apprezzamenti come quello di Marcello Veneziani e di Vittorio Sgarbi, che ha intravisto in Franz “un’autonomia di pensiero sempre più rara oggi”.

<<Vedi>> continua EF <<le critiche a cui abbiamo assistito finora al sistema sono state fatte adoperando lo stesso linguaggio del sistema che si vorrebbe criticare; in pratica sono state delle critiche pro-sistema. Abbiamo assistito passivamente a normative che hanno sfigurato ciò che caratterizza l’uomo come essere civile: la stretta di mano come fatto simbolico, il culto dei morti (base del pensiero astratto), la privazione del volto (codice dell’anima): allora mi sono chiesto, un attentato ai fondamenti della civiltà come può curare un disagio come questo? Banche ed assicurazioni aperte, parchi chiusi: come si fa a “guarire” così?>>

Si passa poi a parlare del mondo della cultura, che egli conosce bene, per ovvi motivi. <<La reazione del mondo della cultura è stata una grande delusione: come si può accettare di dividere i corpi, di disassemblare, separare? Ma la vita stessa è un assembramento, tutto è unito verso un’unità superiore; se prendi un polmone e lo separi dall’altro che cosa ottieni? Te lo dico io: la morte. Questa società ha fatto passare il concetto di corpo come oggetto, cioè – quello che non è misurabile non c’è! Ma la sofferenza appartiene alla cultura di appartenenza: la percezione di sofferenza è un atto soggettivo, siamo stati quindi svuotati di soggettività per legge.>>

<<Tornando allo stato di emergenza e alla reazione del mondo della cultura, possiamo notare come in passato pandemie ben più gravi di questa abbiano fiorito Boccaccio o Santa Caterina da Siena, tanto per fare due nomi, perchè c’era una risposta soggettiva, dettata da un’interiorità. E vedere il corpo come un oggetto non aiuta, si è confusa la causa con l’effetto. Prendiamo il teatro ad esempio: il teatro è un atto sacro, avere il pubblico a casa è la fine dello spettacolo; se non c’è partecipazione ecco che sopraggiunge la morte del teatro!>>

Non si poteva che chiudere chiedendo all’autore come si esca, allora, da questo cortocircuito e Franz ci ha lasciato così, in perfetta coerenza: <<in questi mesi sono nati tanti movimenti, prima eterogenei adesso accomunati dal rifiuto di un’eccessiva tecnologia e tecnica. In questo particolare momento storico si difendono meglio gli istintivi, quelli che danno retta per prima cosa al proprio corpo, alla propria anima ed individualità, perchè se bevi un veleno il tuo corpo te lo fa vomitare anche se un Nobel ti ha appena detto che quel veleno ti farà bene.>>

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