Cronaca & Attualità
Posate 9 pietre d’inciampo a memoria dei funzionari della questura deportati nel 1944
Presente anche il capo della Polizia Lamberto Giannini
UDINE – “Non scelsero di diventare eroi, ma tennero fede al loro giuramento”, ha ricordato Manuela De Bernardin, questore di Udine. E sono diventati “la nostra carne viva, una stella polare nei momenti di difficoltà”, ha detto Lamberto Giannini, il Capo della Polizia che oggi era l’ospite d’onore della cerimonia di posa delle pietre d’inciampo per onorare la memoria dei nove funzionari della Questura, deportati dai nazisti nei campi di sterminio nel luglio del 1944 e mai più tornati a casa.
A dispetto della pioggia incessante, autorità civili e militari – dal Prefetto di Udine, Massimo Marchesiello, al presidente dell’assemblea legislativa del Friuli Venezia Giulia, Piero Mauro Zanin, a numerosi parlamentari e consiglieri regionali – e decine di cittadini hanno voluto assistere all’evento organizzato dal Comune in via Treppo e nel salone del Conservatorio Tomadini, che ai tempi ospitava la sede della Questura.
Proprio in quel palazzo dunque lavoravano Filippo Accorinti, Alberto Babolin, Bruno Bodini, Giuseppe Cascio, Mario Comini, Antonino D’Angelo, Anselmo Pisani, Mario Savino e Giuseppe Sgroi, vittime innocenti del regime nazista che in quei drammatici frangenti della Seconda guerra mondiale – come hanno ricordato il sindaco di Udine, Pietro Fontanini, e l’assessore alla Cultura, Fabrizio Cigolot, nelle vesti di moderatore della cerimonia – occupava il capoluogo friulano e una vasta fetta della nostra regione, annessa direttamente al Terzo Reich. E ora, in via Treppo, nove pietre con incisi i loro nomi ricorderanno a tutti il dramma delle deportazioni e dei lager.
“Mi auguro che in particolare i giovani – ha auspicato il presidente del Consiglio regionale, Zanin, dopo aver portato i saluti del governatore Massimiliano Fedriga – ‘inciampando’ in queste pietre si pongano delle domande e rendano attuale quel sacrificio. L’iniziativa della Questura e del Comune di Udine è straordinaria – ha sottolineato ancora il presidente – proprio perché non è autorefenziale e non è rivolta soltanto al passato, ma piuttosto alle nuove generazioni, chiamate a custodire l’importante eredità della memoria. Spetta ai giovani infatti costruire un futuro che sia degno del sacrificio di quegli uomini”.
Zanin ha voluto inoltre ringraziare la Polizia “non solo per il lavoro che svolge a garanzia della nostra sicurezza, ma anche come baluardo dei valori della democrazia, perché proprio in nome di quei valori i nove funzionari che ricordiamo oggi persero la vita. Concetti ancora più importanti di questi tempi, quando la cronaca ci richiama alla crudeltà dello scontro tra uomini”.
Un parallelismo, quello con la guerra in corso in Ucraina, scelto anche da altri oratori. “Viviamo momenti di grande difficoltà – ha ricordato Giannini, direttore generale della Pubblica sicurezza -, da una pandemia che pensavamo di poter vedere solo nei film di fantascienza a una guerra vicino a noi”. E proprio per questo dobbiamo ricordare con grande “riconoscenza e affetto i nostri caduti, che vissero una fase storica ancora più drammatica”. Il sindaco Fontanini ha voluto citare anche il suo predecessore Elio Morpurgo, arrestato dai nazisti e morto durante il viaggio verso Auschwitz.
Hanno parlato della guerra anche i tre studenti del liceo classico Stellini chiamati a condividere pubblicamente le loro riflessioni, ma ad emozionare ancor di più sono state le parole degli eredi. Gioia D’Angelo ha letto gli scritti del nonno – uno dei nove deportati che trovò la morte nei lager – pieni di tenerezza verso la moglie e i figli ancora piccoli. E ha trovato la forza di rispondergli, a più di settant’anni di distanza: “Tu non sei stato soltanto ricordato, come avevi chiesto: tu sei presente”.
Parole sottolineate anche dall’arcivescovo di Udine, Andrea Bruno Mazzocato, prima di impartire la benedizione alle pietre di inciampo appena posate in via Treppo. Ed è stato un po’ come “celebrare un funerale per chi non lo ebbe”, per usare l’espressione di Liliana Segre ricordata da Anna Colombi, curatrice della pubblicazione storica che ricorda le vittime friulane dell’orrore nazista.
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