Eventi & Cultura
Una sana e consapevole libidine… blues! Zucchero incanta Trieste
Si chiude la due giorni di Zucchero Sugar Fornaciari in Piazza Unità d’Italia con un successo clamoroso di pubblico e di musica
TRIESTE – E’ risaputo che il vino – un certo tipo di vino – con gli anni, migliora. Con i musicisti spesso (e poco volentieri) avviene il contrario. Il primo album d’esordio, il secondo di consacrazione, il terzo della maturità. Per chi ci arriva. E poi vivere su un glorioso passato: per i più fortunati. Per la maggior parte invece con il passare del tempo e degli anni il destino è un altro: andare in aceto.
Per Adelmo Fornaciari in arte Zucchero vale il primo caso, quello del vino… da evoluzione. Anche se il nostro non ha mai nascosto una travolgente passione per birra, rum, tequila, cocktails vari.
Eppure sembra non abbia mai condotto una vita salutista – e fuma Lucky Strike, e non gli basta mai, e po-ro-pom-po-po-pom-pe-ro – sognando un Cuba Libre avanti con i gin tonic e – se succede – anche altro sotto il cielo blu di qualche città malfamata.
E quando viene, perché capita anche ai migliori, la crisi d’ispirazione, votarsi al dio Bacco – che perbacco! – sa darti le dritte per un nuovo makin’ funkin’ e perché no di pushin’ pushin’ per l’ennesima hit da classifica.
Tornando a noi: affinché un evento diventi memorabile ci vuole un triangolo con tre lati perfetti: l’artista, il luogo e la connessione luogo-artista. E’ evidente che Zucchero in piazza Unità d’Italia in una sera di luglio rasenti la perfezione.
Scaletta: parte diesel, nei suoi testi del resto non c’è mai stato molto spazio per l’emergenza climatica né Sugar ha mai seguito mode se non il suo credo, tenendo i carichi da novanta per la seconda parte. Ci si arrende, lacrime agli occhi, nell’originale con Mark Knopfler; si – avete letto bene – il signor Dire Straits!
Sogna qualcosa di buono ed ha bisogno di qualcosa di vero il nostro; fanno parte di questo insieme i duetti con la figlia Irene e soprattutto con Oma Jali, vocalist dal Camerun, a dir poco strepitosa e applauditissima. A metà spettacolo le due eroine per un omaggio a Tina (Turner) dopo aver fatto scatenare il parterre sulle note dei Bee Gees mentre papà Adelmo (dice lui) si prende una pausa per una sigaretta. E naturalmente non gli crede nessuno.
Pistolotto blues, un amore incondizionato: «mi dispiace per il rock e il jazz» intercala il cappellaio matto di Reggio Emilia, ma solo il blues può creare un capolavoro dalla storia di uno che gli hanno fregato il galletto, il red rooster. Dune Mosse, featuring a suo tempo Miles Davis, tanto per rilanciare.
Un menzognere, un peccatore, lo ammette… che però brinda alla vita! Appare big Luciano, anche Lui con noi nella grande piazza. Knopfler, Miles, Pavarotti e ce ne sarebbero tantissimi altri: i scarsi non suonano mai con gli scarsi, se ne deduce che (anche facendo finta di non conoscerlo) Zucchero Sugar Fornaciari sia un top ma proprio top-player, come si suol dire.
Gran finale dove la band (pazzesca) si scatena a volumi clamorosi, dove non c’è modo nè di smentire nè di confermare coloro che lo additano di adoperare basi preregistrate anche se ad un orecchio allenato sembra tutto fin troppo perfetto. Si chiude con un altissimo coefficiente di libidine, del resto siamo negli Anni Ottanta e per chi si ricorda c’era quel filosofo che brevettava quella singola, quella doppia e quella coi fiocchi al cinema e c’era lui, che la musicava in antitesi allo stress e all’azione cattolica, uhhhh!!!
Ebbene sì, serata memorabile.
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