Gorizia
E se la vita scorresse al contrario?!
Uno straordinario Giorgio Lupano per il Benjamin Button di Francis Scott Fitzgerald

GRADISCA D’ISONZO – Chi di noi non si è mai chiesto, fatto domande, posto interrogativi del tipo – e se l’avessi saputo prima? e se l’avessi fatto dopo? e se avessi incontrato quella persona prima ancora? e se non avessi fatto per nulla quella scelta? e se, e se, e se… Così, in questo gioco di ipotesi che salgono spontanee dall’anima dello spettatore, il riarrangiamento de Il curioso caso di Benjamin Button di Fitzgerald rimane fedele nello sparigliare le carte all’originale, proponendo un poker evolutivo nel quale i quattro assi non vincono ma vengono snobbati da una semplice coppia: perchè essendo l’ordine cronologico invertito anche i valori si capovolgono.
“Tutti sappiamo già come andrà a finire ma quello che non sappiamo è il come da qui a quel momento e in questo c’è la nostra unicità” è l’esordio di Giorgio Lupano, mattatore, protagonista, protagonisti, voce, voci, tristezza, euforia, solitudine, turbamenti, esaltazioni, ripensamenti di Nino, pseudonimo di BB, vero e proprio one man show sommerso da implacabili applausi nel finale. Già, perchè in questo caso non si può non partire dal finale!
Onde per cui, agli appassionati del trovare una morale in qualsivoglia opera, si può di certo rifilare quella che l’età dove ci si incontra – con sé stessi e con gli altri – sia esclusivamente la maturità, la via di mezzo, momento privilegiato della vita dove ci si trova tutti: a metà strada tra gioventù e vecchiaia infatti, le comprende entrambe – nel senso verbale del temine: voce del verbo comprendere anche se, come sentenzierà il nostro “non è mai troppo tardi, o nel mio caso troppo presto, per essere quello che vuoi essere.”
Ancor prima, per la stagione Artisti Associati, presso la Sala Bergamas di Gradisca e per la minimalista quanto sapiente regia di Ferdinando Ceriani, va in scena un racconto paradossale, metaforico e allegorico dove il protagonista nasce anziano e col tempo ringiovanisce incontrando a ritroso, come in uno specchio capovolto, le figure importanti della propria vita che, viceversa e come tutti, invecchiano.
Tutto appare basato sul paradigma nonno-padre-figlio, in rigoroso ordine, scala in progresso/regresso al maschile e con una pressoché totale assenza della sensibilità femminile, benché sul palco ci sia la costante e dissolvente apparizione di fidanzate, mogli, madri.
Troppo vecchio prima, troppo giovane quindi, e in ogni caso da ritirare dall’asilo sia prima che dopo perchè di lui ci si vergogna, il divo (anche qui al contrario) pare più oggetto o status da sfoggiare che vero e proprio affetto. I cambi d’abito, di squisito gusto retrò, che si susseguono portando l’antieroe ad un outfit via via sempre più giovanile (mai aggettivo è stato così indicato), sottolineano il viaggio a ritroso che accompagna emotivamente il parterre.
Ed il gioco della coincidentia oppositorum ci restituirà l’archetipo maschile nella sua forma più vulnerabile in un rapporto totalmente conflittuale, assolutamente irrisolto ed in perpetua alienazione.
Coerentemente, concludiamo anche noi il nostro racconto dall’inizio: Benjamin Button nasce nei Roaring Twenties, i Ruggenti Anni Venti, quelli americani, inserito nell’iconica raccolta Racconti dell’età del jazz. Insomma, vita al contrario per musica in controtempo anche se qui feste favolose, paillettes, gessati, tagli da maschietta, alcolici di contrabbando ci appariranno decisamente lontani.
Come tutti o quasi gli adattamenti ripresi e costretti in questa contemporaneità dal linguaggio ipersemplificato stenterà a far capolino l’umorismo cinico, caustico, spietato di quell’epoca e risulta assente all’appello qualsivoglia accenno alla sensibilità del dandismo nuyorkese di cui Francis Scott Fitzgerald fu indiscutibile icona.
Già, in questo suo specchiarsi al contrario Fitzgerald raccontava, dipingeva, sferzava i miti del proprio tempo, di quell’America che di lì a poco sarebbe diventata il regno di Gatsby e poi a folle velocità verso il baratro del venerdì nero del 1929, apocalisse a stelle e strisce. La sua visione è tanto più attuale in questi anni che, per diverse e contrapposte ragioni, sembrano pescare a piene mani dall’immaginario collettivo di cent’anni or sono.
Ricapitolando: si nasce soli e così anche si muore, spesso siamo fuori tempo, anacronistici, in anticipo o in ritardo e solo in certi momenti – nei quali il tiranno Kronos pare fermarsi – ci si incontra per brevi attimi con le esistenze degli altri. E solo nell’istante in cui il nostro di tempo coincide con quello delle persone che amiamo allora lì, solo in quell’istante, si respira la magia, si è davvero vivi. Capito?! Sì… altrimenti, provate a rileggere tutto al contrario! Serata da ricordare.
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